Le aree protette per la salvaguardia del corallo sono state create nel posto sbagliato. E’ quanto afferma Nick Graham, ricercatore presso la Scuola di scienze e tecnologie marine dell’Università di Newcastle, nel studio pubblicato su PLoS ONE, dopo aver analizzato i dati raccolti negli ultimi dieci anni dall’osservazione di 66 siti marini in diversi punti dell’Oceano Indiano. Le attuali collocazioni, infatti, sono state pensate negli anni Sessanta e Settanta, prima che il fenomeno del cambiamento climatico fosse all’ordine del giorno. La specie più a rischio è quella della madrepora (Acropora spp) A seguito dell’innalzamento della temperatura marina, i polipi del corallo rilasciano l’alga simbiotica che conferisce il caratteristico colore rossastro. L’espulsione dell’alga porta allo ‘sbiancamento’ del corallo, e questo lo rende più sensibile all’azione distruttiva del mare. Se la concentrazione delle alghe non torna a livelli normali entro breve tempo, il corallo si sgretola e muore. “Non vogliamo rimuovere le zone protette già esistenti, ma possiamo studiare una ricollocazione, partendo dalle aree meno esposte all’impatto distruttivo dell’effetto serra, nelle quali i coralli sono riusciti a sopravvivere. Faremo il possibile per proteggere l’ecosistema anche dai danni provocati dall’uomo, dalla pesca selvaggia o dall’inquinamento. Solo così i coralli avranno qualche possibilità in più”, ha spiegato Graham.