Il Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University ha pubblicato, sull’edizione on line della rivista Science, uno studio che potrebbe contribuire a chiarire, tra le altre cose, l’effetto della fertilizzazione degli oceani con il ferro.


Ogni anno il vento trasporta quasi 900 milioni di tonnellate di polveri desertiche che si riversano negli oceani e da tempo è noto che esiste una correlazione tra periodi glaciali e massicce quantità di polveri depositate negli oceani Atlantico e Indiano e sul Circolo Polare Artico. Analizzando le carote del fondale equatoriale tra Papua Nuova Guinea e le isole Galapagos comprendenti tutte le cinque grandi ere glaciali più recenti, i geochimici statunitensi, guidati da Gisela Winckler, hanno finalmente stabilito la stessa correlazione anche per l’Oceano Pacifico. Nei campioni corrispondenti ai periodi freddi la quantità dell’isotopo del torio 232 è di due volte e mezzo superiore rispetto ai campioni dei periodi interglaciali.


Per i ricercatori il ferro funzionò da ‘fertilizzante’ per il plancton (che utilizza l’anidride carbonica per la fotosintesi). Questo avrebbe portato a una riduzione considerevole di CO2 presente nell’atmosfera, con conseguente diminuzione della temperatura. “Questi dati”, sostiene  Winckler, “rappresentano un esperimento naturale sugli effetti della fertilizzazione degli oceani con il ferro, una delle possibili soluzioni spesso proposte per contrastare l’aumento dell’effetto serra”. La questione rimane però complessa e controversa: “Stimare gli effetti di questo fenomeno naturale avvenuto nel passato”, continua la ricercatrice, “potrà portare a valutazioni quantitative della sua reale efficacia e delle controindicazioni”.