Il ruolo nazionale e territoriale della ricerca e formazione universitaria operato attraverso il Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare.

I mari e gli oceani d’Europa costituiscono una fonte di innovazione, di crescita e di occupazione ricca e spesso sottovalutata, poiché́ offrono servizi ecosistemici e risorse preziose da cui dipendono tutte le attività̀ marittime. La politica marittima integrata (PMI) ha cercato di potenziare lo sviluppo sostenibile dell’economia marittima europea e di tutelare più efficacemente l’ambiente marino sollecitando la collaborazione di tutti gli interessati, al di là dei settori e delle frontiere.
L’importanza dei mari e degli oceani per il benessere del nostro pianeta è un fatto indiscutibile. Le attività umane esercitano pressioni tali da influenzare la vita nei mari e i loro habitat, e le funzioni essenziali dei nostri oceani.
Iniziative recenti hanno fatto opera di sensibilizzazione sulla salute e lo stato dei nostri mari e degli oceani con l’obiettivo di conservare in modo durevole le risorse e porre le basi per una governance internazionale degli oceani
La sostenibilità dello sviluppo riveste oggi un interesse anche politico per il coinvolgimento che riveste per l’economia, considerata la consapevolezza che si va diffondendo, sul costo dell’insostenibilità nei processi di crescita industriale. L’approccio che si chiede agli studi di settore è di tipo olistico, ecosistemico e vengono coinvolti ecologi, geologi, economisti, fisici, chimici, sociologi, ingegneri, meteorologi, modellisti, nonché esperti di conservazione, di biodiversità, di economia ambientale, etc.
Dopo una prima fase di elevati investimenti, l’Europa sta riducendo la spesa pubblica, pertanto è essenziale ottenere un massimo di risultati con mezzi limitati. La cooperazione e la sinergia tra gli attori diventa pertanto fondamentale e rende le operazioni in mare più̀ efficienti sotto il profilo dei costi ottimizzando anche l’utilizzo dei dati.
L’Italia, come veniva ricordato nella presentazione del Prof Corselli, spende poco, rispetto ad altri Paesi europei e spesso spende male. Mancano progetti dedicati e quando presenti soffrono di un eccesso di burocrazia che ne limita l’efficacia. Le istituzioni che si occupano di mare sono diverse e spesso non coordinate tra loro. Difficilmente si riesce a fare sistema ed a produrre fronte unico nella competizione europea ed internazionale. Il raccordo con il mondo imprenditoriale non sempre è possibile, spesso è discontinuo e limitato solo ad alcuni settori, prevalentemente tecnologici.
Il recente tentativo della costituzione del Cluster Tecnologico BIG va proprio nella direzione di ridurre questo gap.
In alcune realtà siamo provvisti di ottime infrastrutture, che potremmo definire anche di eccellenza, ma capita frequentemente che esse siano duplicate, anche all’interno della stessa istituzione e spesso sono sottoutilizzate o addirittura non più funzionanti, per mancanza di risorse.
La frammentazione e separazione dei vari Enti di ricerca non aiuta a fare sistema.
Vi sono troppi interessi diversi e le collaborazioni, quando presenti, assumono spesso un carattere personale e non istituzionale, Al contrario di come avviene in altri Paesi, da noi si fa a gara per duplicare, ognuno deve realizzare la propria infrastruttura che poi, però, difficilmente riesce a manutenere, a gestire per mancanza di risorse, soprattutto umane. In più si fa a gara per frammentare, duplicare EPR, secondo logiche per niente sistemiche ed in controtendenza con quanto avviene in altri Paesi europei e non. Manca una governance nazionale, una cabina di regia unica, con Istituzioni divise, spesso sovrapposte per competenze, in alcuni casi miope, in altri conniventi con le logiche di duplicazioni citate prima.
La tendenza al frazionamento ed alle duplicazioni è presente negli Enti di Ricerca ma è anche molto frequente nelle Università che sempre più spesso si cimentano in attività isolate sotto la spinta di personalismi e perseguono da soli percorsi molto difficili, che il più delle volte si concludono con risultati molto modesti.
Lo strumento dei Consorzi Universitari ha solo in parte attenuato questa tendenza ed ha provato ad organizzare alcune aree scientifiche del Paese.
I Consorzi Interuniversitari di ricerca tematica (CIRT) svolgono un’azione importante di coordinamento tra sistemi di ricerca, in particolare tra quelli universitari, su linee scientifiche e tecnologiche che sono di particolare interesse per lo sviluppo della conoscenza, del trasferimento tecnologico e, più in generale, della competitività del Paese. Tale sviluppo non si esaurisce con attività che riguardano realtà italiane, ma si apre al confronto con il resto dell’Europa in particolare e del mondo in generale.
La funzione istituzionale dei CIRT consiste nel:

a) ampliare le possibilità dei singoli atenei di acquisire commesse tramite un’azione di coordinamento di Unità di ricerca afferenti a più atenei e quindi tramite una significativa massa critica;
b) selezionare qualificate Unità affini di ricerca accademica per formare o solidificare specifiche filiere di ricerca interuniversitarie, anche con preminenti caratteri di interdisciplinarietà, e mettere a frutto l’organizzazione a rete per specifiche tematiche, al fine di valorizzare al meglio competenze plurime indirizzate alla costituzione di reti scientifiche di eccellenza e alla formazione di giovani ricercatori;
c) supportare e cofinanziare borse di dottorato, assegni di ricerca, posizioni RTD e periodi di formazione all’estero di giovani ricercatori che operano nel sistema universitario di riferimento;
d) garantire al massimo l’efficienza delle attività di ricerca di filiera, tramite un accentramento di funzioni amministrative e gestionali, in modo che i costi generali vadano ad incidere meno possibile sui costi complessivi delle azioni di ricerca intraprese;
e) stabilire rapporti di collaborazione scientifica con Enti Pubblici di Ricerca, Enti Locali, enti esterni e/o con aziende su specifici obiettivi di ricerca con agilità e semplificazione amministrativa, in modo da non perdere alcuna opportunità di collaborazione tra il sistema universitario e l’esterno;
f) sfruttare al massimo la strumentazione e le infrastrutture a disposizione di tutta la comunità scientifica nazionale, impegnative anche sotto il profilo gestionale e finanziario, per eseguire ricerca di punta ed attività operativa in campo e/o in laboratorio, allargata a più utenti e quindi di servizio a più tematiche;
g) incrementare il grado di internazionalizzazione delle attività di ricerca universitarie, sia in termini di rapporti con qualificate istituzioni straniere, che in termini di partecipazione a reti internazionali di laboratori di ricerca e di alta formazione;
h) contribuire con progetti qualificati, che coinvolgano più sedi di ateneo, alla diffusione della cultura scientifica del nostro Paese.

CoNISMa, il Consorzio Interuniversitario per le Scienze del Mare, che al momento rappresento, ha da sempre costituito un esempio di aggregazione ed ha, dalla sua costituzione, perseguito l’obiettivo di sviluppare collaborazioni attive, propositive e durature, all’interno del sistema universitario e farsi da tramite con gli altri Enti e con le altre Istituzioni di ricerca sul mare che operano in Italia: il CNR in primis, la Stazione Zoologica di Napoli, l’ISPRA, l’OGS, l’INGV e l’ENEA. Abbiamo perseguito questo obiettivo con determinazione e tenacia con la consapevolezza che nessuna di queste strutture (inclusa, ben inteso, la struttura CoNISMa) si può ritenere depositaria di tutta l’eccellenza nel settore della ricerca in mare. Siamo sempre stati consapevoli che solo integrando le eccellenze distribuite tra i vari soggetti, si può puntare a raggiungere l’eccellenza necessaria per poter competere a livello europeo.
Il CoNISMa, che oggi rappresenta 35 Atenei, è nato per rendere le Università marine italiane più competitive. Nessuna singolarmente raggiunge una massa critica tale da competere con gli EPR, solo andando uniti possono aspirare ad avere un ruolo rilevante. Esse, se integrate, risultano la realtà scientificamente produttiva più importante del Paese nel campo marino. Lo hanno dimostrato i risultati delle 2 VQR che hanno portato il CoNISMa ad essere tra i tre Consorzi nazionali più competitivi, superando anche alcuni blasonati Atenei ed Enti di Ricerca (nonostante come ricorderete ognuno di noi poteva conferire al Consorzio solo la seconda scelta dei propri prodotti – i primi dovevano essere dati agli Atenei).
Malgrado quindi un’innata tendenza alla frammentazione universitaria, CoNISMa aggrega efficacemente; forse si attenua la visibilità delle eccellenze ma tutto il comparto accademico ne ricava un beneficio (esempio dei Dipartimenti universitari dove conta meno la punta di diamante ma quel che ripaga è la crescita dell’intera comunità). La capacità di aggregare è evidente anche nella forma di volontariato su cui poggia il Consorzio, compreso i suoi organi di governo, Direttivo, Giunta, Vicepresidente e Presidente. Unico svantaggio: non sempre si può fare ciò che potrebbe (fare) una persona dedicata.
Tramite le Università associate il Consorzio rappresenta anche la sede della formazione di nuove figure scientifiche e tecniche, quelle che poi vanno a costituire la forza scientifica degli EPR. La qualità della formazione è determinante per vincere le sfide europee e mondiali, in un momento in cui i tempi delle “vacche grasse” (se mai ci sono stati in passato nell’ambito delle ricerche marine) sono finiti. Oggi si vince solo con la qualità. Non possiamo nasconderci che in ambito universitario, accanto a tante eccellenze specialistiche, esistono ancora estese aree grigie. Ma questa condizione connota anche gli altri Enti di ricerca. Dobbiamo partire da questa constatazione per delineare strategie condivise di integrazione delle competenze.
Nello svolgimento delle attività di progetto, istituzionali e commerciali, il Consorzio, che ha come altro punto di forza il fatto che può contare su una lunga storia di continuità dei suoi vertici e di un tendenziale consenso ed una assenza di conflittualità interna, si avvale delle competenze degli afferenti, privilegiando l’aspetto della distribuzione territoriale ma con la possibilità di ampliarle su scala nazionale quando necessario (sono stati gestiti progetti che hanno coinvolto fino a 22 Università ed oltre il 30 % dei progetti è stato realizzato in partenariato con altri EPR, enti di ricerca stranieri, enti territoriali italiani ed esteri). Si avvale, inoltre, quando necessario ed opportuno, della collaborazione di giovani in formazione, attraverso borse di studio, assegni di ricerca, collaborazioni occasionali e collaborazioni a progetto. Si sta valutando assieme agli altri CIRT un ruolo di supporto dei Consorzi ad attività mirate allo sviluppo ed internazionalizzazione della formazione superiore del sistema universitario nazionale, avviando una riflessione anche nel campo dei dottorati innovativi.
Il modello CoNISMa, ci risulta essere attenzionato da altri Paesi europei che stanno provando a copiarne l’assetto per dare maggior peso alle loro Università. Infatti coordinare le Università significa renderle un importante “attore di ricerca”, con un ruolo primario che singolarmente non possono mai avere.
L’impegno progettuale del consorzio si divide tra progettualità istituzionale e commerciale (30-35 progetti per anno tra ricerca, commerciale, formazione e terza missione). Negli ultimi 3 esercizi finanziari e nell’anno in corso, il commerciale ha rappresentato circa il 13 % del totale mentre l’istituzionale si è diviso tra progetti europei (circa il 30%), progetti finanziati da EPR ed Università (30%), progetti finanziati da Ministeri (24%) e da enti territoriali (16%).
In accordo con gli altri Consorzi tematici e di concerto con la CRUI, il CoNISMa intende finalizzare ulteriormente la propria mission nel rappresentare il sistema della ricerca nazionale universitaria che si occupa di mare, potenziandone la presenza integrata e sotto un’unica sigla, soprattutto in ambito di progettualità internazionale. Tale aspetto è particolarmente rilevante quando la numerosità dei soggetti ammissibili ad una proposta è limitata. In questo ambito si può mettere a disposizione una rete di competenze universitarie già raccordata a livello nazionale e di utilità per lo svolgimento di attività multisede in piena sinergia. Si sta anche operando a livello di MIUR per superare dei vincoli amministrativi che – in alcuni casi – non consentono la partecipazione ad alcuni bandi e delineare quindi un unico quadro di riferimento per tutti i CIRT.
Sempre in ambito dei CIRT si sta provando a dialogare con le istituzioni nazionali che attraverso vari rivoli, spesso poco coordinati, finanziano la ricerca nazionale sul mare per sensibilizzarli su alcuni temi.
Nell’ambito dei finanziamenti della ricerca, la scarsità delle risorse e la necessità di innalzare il livello dei prodotti ha portato a meccanismi competitivi per il finanziamento della ricerca. Parallelamente, soprattutto in campo europeo, è aumentata la dimensione delle aggregazioni necessarie ed è diminuita la diversità dei temi finanziabili attraverso call fortemente indirizzate; la ricerca di nicchia, la cosiddetta ricerca di base non ha quasi più fonti di finanziamento.
Ricercatori o docenti senza accesso ad un livello minimo di finanziamento scivolano verso una produttività ridotta, abbandonano il loro campo (e quindi i loro skills) o hanno un buon motivo per giustificare la propria inerzia, in primis con sé stessi. Stiamo inesorabilmente perdendo competenze essenziali (es. tassonomia, ecologia delle comunità, biometria, etc.). Per il recupero di tali competenze e per non relegare all’improduttività chi comunque prende uno stipendio, andrebbero adottati dei rimedi per utilizzare una parte delle (poche) risorse disponibili e consentire l’operatività di base a tutti.
Ovviamente le risorse economiche sono solo parte del problema, perché i meccanismi di valutazione penalizzano alcuni temi ed alcune attività a favore di altri. Spesso dovremmo essere più attenti alle valutazioni, a posteriori, e chiederci quali sono le reali ricadute dei grandi progetti.
E’ ormai abbastanza frequente, soprattutto nel contesto nazionale, che gli Enti di ricerca diventino il Bankomat delle Istituzioni, costretti ad anticipare, alle volte per parecchi anni, ingenti somme per far fronte ai costi della ricerca, che gli è stata commissionata da questo o quel Ministero. E’ un fatto tipicamente italiano, che, oltre ad essere poco ortodosso,……… ha spesso conseguenze sulla tenuta finanziaria degli Enti.
Andrebbero anche moralizzati alcuni aspetti dei finanziamenti alla ricerca, facendo maggiore chiarezza tra ricerca istituzionale e ricerca commerciale. Spesso si fa volutamente confusione tra le due tipologie per l’incapacità degli enti erogatori del finanziamento ad applicare regole che hanno bisogno di maggiori conoscenze. Non è raro assistere al ricorso, sempre più frequente, dell’uso di accordi organizzativi ex art 15 fra Enti, in deroga al Codice degli Appalti e ad una delibera ANAC del 2016, forzando un po’ lo spirito della norma che andrebbe applicata solo se si tratta di un interesse pubblico effettivamente comune ai partecipanti, che hanno l’obbligo di perseguirlo come compito principale.
Se adottata da una PA come formula per ottenere servizi da altre PA esecutrici, oltre ai vincoli sulla spesa, queste ultime devono accettare l’idea di anticipare i costi fino ad una data non precisata e senza certezza di ristoro. La PA esecutrice si carica di costi finanziari non recuperabili e non ha nemmeno modo di accedere al credito bancario mediante factoring. Spesso la PA esecutrice, con uscite non ristorate a bilancio, va progressivamente in crisi finanziaria.
Una regolare procedura di gara, oltre a regolare oneri e pagamenti in corso d’opera, evita «incursioni» di soggetti non qualificati dietro il paravento dell’accordo organizzativo (ex art. 15).
Avviandoci alla conclusione va detto che incontri come quello di oggi e i tavoli di confronto di domani dovrebbero mettere in luce tutte queste criticità e suggerire nuove politiche per la ricerca italiana che deve sempre più avere un ruolo chiave nel valorizzare, sotto il profilo economico le potenzialità dei mari, in modo sostenibile, in considerazione del capitale naturale che rappresentano.
Il CoNISMa sarà impegnato con propri referenti ai lavori dei tavoli tematici di domani fornendo un contributo sui temi sintetizzati nelle schede che in questi mesi ci siamo scambiati e che Cesare ha provveduto a tracciare. Insieme ai colleghi dei diversi EPR si proverà a stilare il Piano di sviluppo che dovrà contenere soprattutto suggerimenti e nuove idee per i policy makers al fine di potenziare in modo sostenibile i settori economici legati al mare.
In un Paese che aspira ad essere efficiente nelle scienze e tecnologie del mare, il modello ideale sarebbe di avere degli auto-coordinamenti di settore, riconosciuti come rappresentativi e capaci di esprimersi unitariamente. Sarebbero auspicabili, oltre ad un coordinamento delle Università che si occupano di mare, uno degli EPR, uno del sistema imprenditoriale ed uno di policy maker.
Oltre alla presa di coscienza della necessità di fare sistema attraverso una nuova politica di aggregazioni, gli argomenti su cui, a nostro giudizio, ci si dovrebbe soffermare, per dare delle indicazioni concrete, sono legati alla corretta amministrazione dell’uso del mare in un nuovo contesto di governance del nostro Paese, che forse avrebbe bisogno di concentrare su un’unica figura istituzionale le politiche sul mare per una strategia a lungo termine per una crescita sostenibile. Ecco è anche di questo che dovremmo parlare…. Se lo facciamo tutti insieme avremo voce, se lo facciamo singolarmente continueremo ad essere inascoltati.

Se il Paese vuole puntare sulla ricerca per il mare, deve eliminare gli sprechi, migliorare l’efficienza e l’efficacia del sistema e sostenere con convinzione gli attori che aumentano la capacità complessiva del sistema di sviluppare ricerca e promuovere la formazione di giovani e che hanno capacità di reperimento di fondi aggiuntivi. Tutto ciò su un terreno non di competizione, ma di utile integrazione, con maggiori possibilità di svolgere flessibilmente nuove funzioni e con un ampliamento delle opportunità nel mercato della ricerca pubblica e privata.