L’eDNA è una tecnica che si avvale dell’analisi di piccoli frammenti di DNA rilasciati dagli organismi nel loro ambiente per ricostruire la biodiversità dei sistemi studiati. Nello studio, svolto nell’ambito del progetto Interreg Med FishMPABlue 2, pubblicato sulla rivista scientifica Molecular Ecology, Biologi marini di università e centri di ricerca italiani, inglesi e francesi hanno, infatti, esplorato la diversità ittica mediterranea a scala di bacino, attraverso l’utilizzo di quattro differenti metodiche, tre di tipo tradizionale: i censimenti visivi in immersione (Underwater Visual Census transects- UVCt), i sistemi video subacquei (Baited Underwater Videos – BUV), la valutazione delle catture della pesca artigianale (Small Scale Fishery catches – SSFc) ed una di recente sviluppo, la metodologia del eDNA.

Il gruppo di ricerca, che ha visto protagonisti il CoNISMA/Università di Palermo, la Université Côte d’Azur di Nizza (FR), la John Moores University di Liverpool (UK), la Salford University di Manchester (UK), la Stazione Zoologica Anton Dohrn e il Consiglio Nazionale delle Ricerche (IRBIM-CNR) ha raccolto e analizzato di più di 1.700 campioni all’interno di aree marine protette e nelle circostanti zone non protette in Italia, Grecia, Spagna, Francia, Slovenia e Croazia , dimostrando, per la prima volta, che la metodica del DNA ambientale non permette solamente di identificare molte specie per ogni campione esaminato, ma è anche in grado, rispetto alle altre tecniche, di fornire un quadro generale più completo delle funzioni che i pesci svolgono all’interno degli ecosistemi marini mediterranei.

Finora, gli studi condotti con la metodica del DNA ambientale si erano limitati ad esplorare la dimensione tassonomica della biodiversità, cioè le specie. Anche se molto importante, questo aspetto non ci informa sulla gamma di funzioni che gli organismi svolgono in una data comunità biologica, un descrittore più sensibile ed utile per la comprensione di come e quanto gli ecosistemi reagiscano alle perturbazioni naturali o agli impatti di origine antropica ” afferma il Dr Giorgio Aglieri, che è il primo autore dello studio ed è ricercatore post-doc del CoNISMa.

“Questa metodologia è utile per mettere in luce la diversità criptica, vale a dire quella componente della biodiversità che spesso rimane inesplorata, in quanto composta da specie difficilmente individuabili utilizzando metodiche tradizionali. Infatti, le tecniche che si avvalgono del riconoscimento visivo degli organismi (UVCt e BUV) identificano con maggior difficoltà specie mimetiche o dal comportamento elusivo, mentre i metodi che si basano sulla cattura degli organismi (SSFc) permettono di vedere solo le specie che si lasciano catturare degli attrezzi da pesca. L’eDNA, basandosi solamente sulla presenza del materiale genetico degli oranismi all’interno del campione d’acqua prelevato per le analisi, non fa distinzioni di forma, dimensione o comportamento. Molto promettente è anche l’utilizzo del eDNA per tracciare l’arrivo di specie aliene nei nostri mari, consentendo così un intervento rapido ed efficace per arginare il fenomeno” aggiunge il Prof. Marco Milazzo della ULR CoNISMa – Università di Palermo, che ha coordinato il gruppo di ricerca.

Il Professor Paolo Guidetti, coordinatore del progetto FishMPABlue 2 alla Université Côte d’Azur (France), conclude: “E’ affascinante notare come metodi di monitoraggio differenti producano immagini leggermente diverse di un dato ecosistema marino: ognuno aggiunge qualche nuova informazione, arricchendo il quadro generale. Sono convinto che il DNA ambientale abbia le carte in regola per aiutarci a capire meglio la biodiversità marina”.

Il progetto:

Lo studio rientra nell’ambito del progetto FishMPABlue 2, finanziato dal European Territorial Cooperation Programme Interreg MED, con il cofinanziamento da parte del European Regional Development Fund (ERDF) e del UK Natural Environment Research Council (NERC).

Crediti:

Si allega una foto rappresentante grandi esemplari di cernie e saraghi della riserva marina di Cabo de Palos-Islas Hormigas (Spagna), una delle aree marine protette coinvolte nello studio (credit: Antonio Calò)

L’articolo scientifico: Aglieri G., Baillie C., Mariani S., Cattano C., Calò A., Turco G., Spatafora D., Di Franco A., Di Lorenzo M., Guidetti G., Milazzo M. (2020) Environmental DNA effectively captures functional diversity of coastal fish communities. Molecular Ecology  è disponibile a questo link: https://doi.org/10.1111/mec.15661